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11/06/2019


Il web e i social media fanno ormai parte della quotidianità, per questioni lavorative, ricreative, relazionali, culturali e sociali, poiché consentono di affacciarsi sul mondo in tempo reale.

Essere connessi è diventata una prerogativa irrinunciabile anche per strada, in luoghi e locali pubblici e persino sul posto di lavoro. Ma attenzione, in quest’ultimo caso potrebbe comportare la violazione degli obblighi lavorativi e rappresentare un danno economico e produttivo per il datore di lavoro.

A giudicare dalle numerose contestazioni disciplinari e dai provvedimenti sanzionatori per i dipendenti responsabili di navigare con il computer aziendale, o comunque durante l’orario di lavoro, si tratta di un fenomeno diffuso.

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Ma questa attività è davvero illecita o rappresenta un innocente distrazione durante il lavoro?

Appare emblematico il recente caso di licenziamento di una dipendente, responsabile, stando alle risultanze della cronologia del PC aziendale, di oltre 4500 accessi a Facebook.
Il provvedimento era stato deciso perché, secondo l’azienda, tale condotta integrava una grave violazione degli obblighi contrattuali, in particolare di fedeltà e buona fede.

La dipendente aveva impugnato il licenziamento e il contenzioso è approdato davanti alla Corte di Cassazione che con sentenza n. 3133/2019 ha accolto la rigorosa linea aziendale.
Per difendersi, la ragazza aveva sostenuto che la cronologia del PC aziendale non doveva essere considerata come prova e aveva contestato la violazione della sua privacy attraverso l’accesso ai dati informatici.
La Corte ha rigettato le tesi della lavoratrice ritenendo la cronologia del computer come prova idonea e che comunque lei non aveva mai negato gli accessi. Peraltro, la presenza di credenziali e password di accesso la collegava inequivocabilmente ai ripetuti ingressi online.

L’accesso ai dati informatici del dipendente rappresenta una violazione della privacy?

Sul tema della violazione della privacy, la Corte ha dichiarato di non potersi pronunciare poiché la questione non era stata discussa nei gradi precedenti. Su questo punto, si rileva che se da una parte il Regolamento UE 679/2016 relativo alla protezione dei dati personali ha consolidato la tutela del lavoratore dipendente con l’inserimento di obblighi stringenti in ordine ad attività di informazione ed assistenza, dall'altra permane la possibilità in capo al datore di lavoro di eseguire specifici controlli sul lavoratore stesso, nei limiti sanciti dalle norme di diritto del lavoro, ricorrendo anche al controllo della cronologia web.

In un’altra pronuncia su un caso analogo, la Cassazione ha ritenuto che sia legittimo verificare tramite tracciamento informatico i possibili comportamenti illeciti del dipendente, qualora si ritenga che da questi ne possa derivare un effetto lesivo sull'azienda, per esempio in termini di divulgazione di notizie riservate, di Know How etc. (Cass. n. 13266/18)

Si può quindi affermare che se i dati personali connessi alla navigazione in internet vengono estrapolati con lo scopo di tutelare l’azienda, non si viola alcuna previsione normativa posta a tutela del lavoratore, pertanto i dati acquisiti possono rappresentare un legittimo fondamento di una eventuale sanzione disciplinare, licenziamento compreso.

 

Dunque, anche per la fruizione di contenuti online il lavoratore non è dispensato dai suoi obblighi contrattuali, alla stregua delle comuni attività offline: gli accessi a internet e ai social media durante l’orario di lavoro sono equiparabili alla lettura di un giornale cartaceo nelle stesse circostanze di luogo e di tempo o a qualsiasi altro abuso del rapporto contrattuale, con tutte le immaginabili conseguenze che ne possono derivare.

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In collaborazione con:

Studio Legale Potenza
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Si avverte che i contenuti hanno carattere meramente informativo e non possono sostituirsi ad una consulenza da parte di un professionista qualificato sul caso specifico. In nessun caso la compagnia può essere ritenuta responsabile dell’utilizzo che ne possa essere fatto.

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